Al Melià di Milano avremo l'occasione di approfondire le varietà autoctone che rendono unico l'Abruzzo
- In difesa della biodiversità: allevatori e agricoltori custodi e la “Majella Seed Bank”
- LA BIODIVERSITÀ DELL'ABRUZZO A GOLOSARIA
Ortaggi, frutti, grani antichi, vitigni autoctoni, razze animali locali. L'Italia è una straordinaria culla di biodiversità, e in questo scenario l'Abruzzo non è da meno, come avremo la fortuna di toccare con mano nella giornata del 27 febbraio all'Hotel Melià, dedicata alle eccellenze agroalimentare di questa bellissima regione. Salvaguardare e valorizzare la biodiversità significa anche tutelare il territorio rurale, limitarne i fenomeni di spopolamento, nonché preservare il territorio da fenomeni di perdita del patrimonio genetico. In Italia c'è una legge – la 194 del 2015 – che stabilisce i principi per l’istituzione di un sistema nazionale di tutela e di valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare. Legge che la Regione Abruzzo ha recepito, avviando le procedure per la salvaguardia della sua ampia e preziosa biodiversità.
È stato così istituita l'Anagrafe regionale della biodiversità che oggi annovera 18 risorse genetiche vegetali locali a rischio di estinzione. Queste comprendono verdure come il fagiolo tondino del Tavo, la cipolla bianca di Fara Filiorum Petri, l'insalata rossa di vigna Pretalucente, il sedano nero delle coste di Torricella Peligna, la patata sessanta dei monti Pizzi e il peperone rosso di Altino. Ma anche tre varietà di mele (Zitella, Ruggine e Limoncella). Un frutto come il fico reale di Atessa. Tre varietà di grani antichi come il Solina, il Saragolla antica abruzzese e il Saragolla varietà locale abruzzese. E cinque vitigni: gallioppa, nero antico, moscato di Castiglione a Casauria, vedovella nera e moscato di Frisa. Quattro invece le risorse genetiche animali: il cavallo da tiro pesante, la gallina nera atriana, il maiale nero d’Abruzzo e la capra teramana.
In difesa della biodiversità: allevatori e agricoltori custodi e la “Majella Seed Bank”
In difesa di questo patrimonio, è fondamentale il lavoro degli agricoltori e allevatori, definiti “custodi” della biodiversità e iscritti in un apposito registro. Ma da raccontare è anche l'attività della Majella Seed Bank, ovvero la Banca del Germoplasma per la biodiversità naturale e agraria. Questa è una struttura attrezzata per la raccolta e la conservazione del germoplasma di specie endemiche, rare o a rischio di estinzione, e di specie a interesse agronomico e selvatiche.
Le sue finalità sono non solo di preservare la diversità genetica in sé, ma anche di rendere disponibili materiali vegetali di provenienza certificata per interventi di restocking, riqualificazione, recupero e gestione del territorio. Per la maggior parte delle specie da seme l’immagazzinamento in banca permetterà loro, se necessario, di essere riportate in natura anche dopo decine di anni poiché i semi rimangono vitali a lungo. Inoltre l’attività di raccolta semi è finalizzata allo allo scambio dei semi tra le istituzioni scientifiche anche per la riproduzione, così da garantire la sostituzione e il reintegro delle piante presenti in collezione nel giardino o per costituire una riserva utile.
LA BIODIVERSITÀ DELL'ABRUZZO A GOLOSARIA
Lunedì 27 febbraio a Golosaria Wine & Food Abruzzo la biodiversità regionale sarà protagonista con la possibilità di scoprire alcune delle eccellenze regionali. Vediamo quali.
CARCIOFO DEL VASTESE O DI CUPELLO
Il Carciofo del Vastese o di Cupello è una varietà di carciofo coltivata principalmente nel comune di Cupello e nei comuni limitrofi di Furci, Lentella, Monteodorisio, San Salvo e Vasto in Abruzzo. Le notizie storiche risalgono al 1575 quando il padre domenicano Serafino Razzi descrisse la presenza dei carciofi selvatici nella zona. La razionale coltivazione del carciofo cominciò dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando gli agricoltori di Cupello cercarono alternative alle colture cerealicole. La coltivazione si diffuse e gli agricoltori si unirono in cooperativa per commercializzare il prodotto. Nel 1961, a Cupello, sorse la prima cooperativa di commercializzazione del carciofo locale, la Cooperativa San Rocco, alla quale si aggiunsero, negli anni successivi, altre cooperative nei paesi limitrofi.
Oggi, il Carciofo del Vastese è un prodotto protetto dal marchio collettivo comunitario "Carciofo di Cupello". La produzione è regolamentata da un disciplinare che stabilisce le varietà e la zona di produzione, nonché le quantità di resa produttiva e le modalità e tempi di raccolta. La raccolta avviene principalmente in modo manuale, tra la fine di marzo e la fine di maggio per i carciofi di dimensioni maggiori e fino alla prima decade di giugno per i carciofini.
Il Carciofo del Vastese è caratterizzato da un sapore delicato e leggermente dolce, grazie alla particolare acidità del terreno in cui viene coltivato. Ha un colore verde intenso con riflessi violacei, ed è dotato di un caratteristico foro all'apice. Grazie alla razionale coltivazione, la coltura del carciofo si è diffusa rapidamente, diventando una delle principali attività economiche della zona. La sagra del carciofo viene organizzata ogni anno a Cupello, nell'ultima decade di aprile.
CIPOLLA PIATTA BIANCA DI FARA FILIORUM PETRI
La cipolla piatta bianca di Fara Filiorum Petri, una varietà di cipolla bianca unica, ha una storia e una tradizione che risale al 1300, quando i monaci Benedettini di Fara Filiorum Petri l'usavano regolarmente. Tuttavia, a causa della meccanizzazione, dell'industrializzazione e della mancanza di acqua nella regione, la sua produzione è diminuita drasticamente dopo la Seconda Guerra Mondiale. La coltivazione della cipolla bianca di Fara Filiorum Petri è stata mantenuta solo da alcuni contadini della Contrada Mandrone. Tuttavia, negli anni Duemila, l'ortaggio è stato rivalutato e una manifestazione gastronomica chiamata "Fara Cipollara" è stata organizzata ogni agosto. L'evento è diventato così popolare che ha portato alla creazione dell'"Associazione produttori cipolla bianca di Fara Filiorum Petri", che ha utilizzato tecniche di agricoltura integrata per coltivare la cipolla bianca di Fara Filiorum Petri e ha ricevuto il riconoscimento di "Presidio Slow Food".
La cipolla piatta bianca di Fara Filiorum Petri ha un bulbo di forma piatta, che può pesare dai 120 ai 900 grammi, formato da foglie carnose trasformate, chiamate tuniche o catafilli, che si raggruppano alla base in una parte detta disco. La parte centrale del bulbo contiene una gemma detta girello, protetta da tuniche sottili che assumono a maturazione il colore caratteristico della varietà di appartenenza, da bianco candido a bianco giallastro. Al fine di meglio conservarla e valorizzarla vengono realizzati diversi sottoli, sottaceti, confetture che riscuotono notevole successo. Inoltre è anche l’ingrediente principale della cipollata un piatto tradizionale a base di cipolle, da poco raccolte, che, cotte per lungo tempo in un tegame di coccio, diventano morbide e dolci. Sono apprezzate anche arrostite sulla brace.
LA SOLINA
La Solina è una varietà di frumento tipica dell'Abruzzo, coltivata principalmente nella provincia dell'Aquila e in alcune aree montane di Pescara e Chieti. La storia e le tradizioni legate alla Solina sono documentate in numerosi detti popolari e in documenti storici. In tutto l’Abruzzo interno quando si parla di grano (le rène, lo rano) s’intende la Solina. Diversi proverbi testimoniano la stretta connessione tra questa varietà e la vita del popolo abruzzese. In particolare la caratteristica più apprezzata è la sua costanza produttiva, che in passato, garantiva l’alimentazione e quindi la sopravvivenza delle famiglie. In alcuni detti popolari si esaltano le elevate caratteristiche organolettiche di questo frumento; infatti, si sostiene, a ragione, che “quella di Solina aggiusta tutte le farine”. La sua ancestralità è testimoniata oltre che dai detti popolari (“ogni grano torna a Solina” e “la Solina è la mamma di tutti i grani”), anche da documenti storici, quali alcuni atti di compravendita del 1500 stipulati presso la Fiera di Lanciano e in un testo di fine ‘700, il saggio di Michele Torcia Pel paese de’ Peligni che così recita “Non dimenticheremo il pane di Popoli che non la cede se non al solo di Teramo in tutta la Monarchia… Il pane a Popoli esce dal grano solino…”.
Si tratta di un rarissimo e documentato esempio di legame tra una varietà di prodotto e il territorio. Questo frumento è adatto alla coltivazione biologica in quanto non richiede elevati apporti di azoto e può competere con le erbe infestanti, non rendendo necessario il ricorso al diserbo chimico. Ha un sapore e un profumo unici, che la rendono particolarmente apprezzata per la produzione di pane e pasta. La Solina è caratterizzata da una taglia elevata, una spiga aristata bianca, cariossidi grandi e una produzione limitata. La farina ottenuta dalla macinazione è poco tenace ed è adatta alla lavorazione manuale. A Campo di Giove in ottobre si svolge una rievocazione della Festa del Raccolto a promozione della biodiversità agricola.
LENTICCHIE DI SANTO STEFANO DI SESSANIO
Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio sono coltivate su terreni marginali situati tra i 1150 e i 1600 metri s.l.m. nei comuni di Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Barisciano, Castelvecchio Calvisio e Castel del Monte, in provincia di L’Aquila. La zona di montagna è caratterizzata da condizioni pedoclimatiche particolari, che non richiedono l'uso di interventi chimici sulle colture, garantendo la massima genuinità del prodotto. Questa varietà di lenticchie è piccola, saporita e di colore più scuro rispetto alle altre varietà, di rapida cottura e mantiene la sua consistenza una volta cotta. La sagra delle lenticchie di Santo Stefano di Sessanio viene organizzata ogni prima domenica di settembre per promuovere il prodotto e mantenere viva la memoria storica di questa antica coltivazione. La varietà autoctona di lenticchia di Santo Stefano di Sessanio appartiene al gruppo “microsperma” e ha un ciclo di crescita sufficientemente precoce.
L'analisi del DNA ha confermato l'esistenza di un genotipo ben identificato, distinguibile dalle varietà di commercio e da altre varietà locali italiane. Il prodotto presenta una forma globosa-appiattita-lenticolare, un peso di mille semi oscillante tra i 22 e i 30 g e un colore dei semi variabile dal violaceo al marrone violaceo in tinta unita o screziata. Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio sono apprezzate anche per le loro caratteristiche nutrizionali mentre il ruolo nei piatti della tradizione regionale è assolutamente di primo piano: sono utilizzate soprattutto nella preparazione delle zuppe abruzzesi.
PEPERONE ROSSO DI ALTINO
Conosciuto anche come peperone di Serranelle, è un prodotto tipico dell'Abruzzo, in particolare della zona compresa tra i fiumi Sangro e Aventino, nella provincia di Chieti. La sua coltivazione ha origini antiche e risale almeno al XVIII secolo, come attestato da un atto notarile del 1752 che lo cita con il nome di "peparoli”. Di un colore rosso intenso quando è maturo, la sua caratteristica principale è quella di avere i frutti rivolti verso l'alto, da cui deriva il nome dialettale "a cocce capammonte". Viene utilizzato come aroma negli insaccati della zona, come salsicce e ventricina, ma anche come ingrediente di varie ricette tradizionali, come la pasta con aglio, olio e peperoncino, la pizza, le sardelle salate, le uova e i legumi. In particolare, è utilizzato come condimento per la pasta in una preparazione a base di peperone, lardo fresco e aglio appena soffritti. La coltivazione del peperone rosso di Altino avviene in semenzaio aziendale intorno alla metà di febbraio, con seme locale riutilizzato dai primi anni del Novecento.
Dopo circa 40 giorni, le piante vengono trapiantate in pieno campo su terreno preparato, con una distanza d'impianto di 60-70 cm tra le file e circa 20 sulla fila. La raccolta avviene dalla fine di agosto alla fine di settembre. I frutti vengono raggruppati in crolli di circa 50 pezzi e tenuti assieme da un filo passato nel picciolo con un ago. I crolli vengono quindi essiccati all'aria per circa 15-20 giorni in una tettoia aziendale che assicuri una buona ventilazione e il riparo dalla pioggia. Infine vengono tostati in forno aziendale a legna e macinati immediatamente per evitare l'inumidimento e la muffa. Il peperone rosso di Altino ha un sapore dolce e delicato, ed è apprezzato per la sua versatilità in cucina. Ogni anno, intorno alla metà di agosto, si svolge il Festival del Peperone Dolce di Altino, che propone otto diversi menu composti da un primo, un secondo con contorno e un dolce, che valorizzano la biodiversità della zona e degli ingredienti tipici locali.
SUINO NERO D'ABRUZZO
Il suino Nero d’Abruzzo è una razza autoctona di suini, tipica delle regioni dell’Italia centrale e meridionale, con una storia secolare. Si tratta di una popolazione suina che si è costituita nei secoli e si è diffusa con la transumanza delle greggi sulle direttrici viarie risalenti all’epoca romana. Nell’800, questi suini neri erano diffusamente allevati lungo i contrafforti appenninici e nelle aree incolte e vagavano liberi nei sobborghi cittadini. L’introduzione incontrollata di razze cosmopolite e l’abbandono delle antiche pratiche pastorali, portò alla sostituzione di questa razza con altre tipologie genetiche più produttive e facilmente allevabili. Alla fine degli anni Novanta, è iniziata in Calabria un’azione di recupero del tipo locale Calabrese, discendente dalla più antica varietà Pugliese. Il programma di conservazione si è progressivamente consolidato e si è esteso alle varietà di suini riconducibili al medesimo tipo genetico presenti nelle regioni centro meridionali.
La popolazione del Suino Nero d’Abruzzo è originaria prevalentemente della regione Campania e giunse in Abruzzo nei secoli antichi. La popolazione abruzzese ha salvaguardato la razza rara, divenuta introvabile dopo l’avvento della suinicoltura industriale che ha visto il maiale bianco sostituirsi al Nero. Il suino Nero d’Abruzzo è un animale rustico, di medie dimensioni, dal pelo ispido di un colore che varia dal nero al color ardesia e storicamente presenta grandi orecchie che gli cadono sugli occhi. È resistente e predisposto al pascolo all’aperto in tutti i periodi dell’anno ma richiede, allo stesso tempo, più cura e dedizione, considerato il maggior tempo per la crescita e lo sviluppo.
La tecnica di allevamento prevede un largo uso di pascolo nei boschi di faggio, di castagno o di quercia, in cui il maiale può brucare liberamente, cibarsi di ghiande, tuberi, radici e frutti del bosco. Nel territorio abruzzese il suino Nero d’Abruzzo trova così il luogo ideale per un allevamento estensivo semi-brado fornendo una carne tenera, sapida, dal gusto unico e inconfondibile. Nel suino Nero d’Abruzzo, infatti, la più alta percentuale di grasso (marezzatura) consente di apprezzare maggiormente la diversità organolettica delle carni.
TONDINO DEL TAVO - FAGIOLO DI LORETO APRUTINO
Nella vallata del Tavo, da Farindola a Cappelle sul Tavo, si coltivano questi fagioli dalla colorazione che va dal bianco latte all’avorio e dalla forma tondeggiante, con tegumento esterno sottile e lucido, che tende però a imbrunire qualora si verifichino piogge eccessive durante la fase di maturazione. Il baccello ha forma allungata, dimensioni medio-piccole (8mm x 6mm in media) e consistenza dura. La pianta, per le sue caratteristiche di portamento, necessita di sostegno e di un terreno poco profondo e povero di sostanza organica: terreni d’elezione sono infatti quelli sabbiosi e/o ciottolosi, perché, se coltivato in terreni particolarmente ricchi di calcare, il Tondino del Tavo risulta di difficile cottura. Il fabbisogno idrico è elevato ed è necessaria la concimazione fosfatica. In passato si seminava, dopo la mietitura del cereale, direttamente sulle stoppie. La semina avviene dopo il 15 giugno e la fioritura mediamente intorno alla seconda decade di agosto. Il momento della semina è molto importante in quanto, come riportato da alcuni produttori, semine anticipate ad aprile portano ad avere piante rigogliose, ma non produttive. Il periodo di maturazione coincide con l’ultima decade di ottobre.
ZAFFERANO D'AQUILA DOP
Lo Zafferano dell'Aquila DOP è un pregiato zafferano prodotto in un'area specifica della provincia, in particolare nei comuni di Barisciano, Caporciano, Fagnano Alto, Fontecchio, L'Aquila, Molina Aterno, Navelli, Poggio Picenze, Prata d'Ansidonia, San Demetrio nei Vestini, S. Pio delle Camere, Tione degli Abruzzi e Villa S. Angelo. Viene ottenuto dalla tostatura degli stimmi del fiore del Crocus Sativus L. e viene commercializzato in filamenti o in polvere.
La coltivazione dello Zafferano dell'Aquila risale al XIII secolo e la sua qualità era già allora nota in tutto il mondo, tanto che veniva esportato in diverse città italiane ed europee. Nel XV secolo, lo Zafferano dell'Aquila contribuì notevolmente allo sviluppo della città e la sua produzione raggiunse il picco nel 1830. Tuttavia, nel XX secolo questa diffusione subì una battuta d'arresto a causa di conflitti e di una concorrenza sleale da parte di alcuni commercianti. Grazie alla tenacia di Silvio Sarra di Civitaretenga, alcuni coltivatori si unirono in cooperativa per riportare la coltivazione dello Zafferano dell'Aquila alla sua antica gloria.
La particolarità biologica di questa pianta che si propaga solo per clonazione, in quanto sterile triploide, fa sì che in mancanza di una evoluzione genetica legata alla riproduzione gamica, la pianta mantenga inalterati i caratteri nel tempo. Questa particolarità rende lo «Zafferano dell’Aquila» un fossile vivente in quanto, sia i caratteri botanici della pianta, che le tecniche colturali impiegate per la coltivazione, sono rimaste invariate da oltre 600 anni. A renderlo prezioso anche l'attenzione dovuto alla raccolta che avviene all'alba e necessita di un grande impegno di manodopera: per ottenere 1 kg di zafferano secco servono circa 200.000 fiori equivalenti a 500 ore di lavoro. Per conoscerlo più da vicino il momento ideale è la Sagra dei Ceci e dello Zafferano che si svolge in agosto a Navelli, al centro dell'altipiano.