"Massobrio ha il pregio di non contrapporre mai tradizione e innovazione perché sa che i due termini vanno insieme"
Paolo Massobrio, insieme al suo sodale Marco Gatti, ha costruito negli anni una mirabile rete di rapporti che gli ha permesso di sviluppare una conoscenza del territorio italiano con pochi paragoni, in qualunque campo.
Ma Il Golosario è una cosa a parte. E a dispetto del titolo accattivante e dei titoletti che abbondano di termini seducenti talora fino alla morbosità, la sua verità resta inchiodata a quel sottotitolo (Guida alle cose buone d'Italia) che mi ricorda la splendida battutaccia dell'Innominato il quale, levatosi dopo la sua tremenda notte insonne, sentendo le voci di una folla festante spalanca la finestra e grida: «Che c'è d'allegro in questo maledetto paese?».
Il Golosario può essere letto (se lo si legge bene) come una risposta a questa domanda. In esso troviamo un repertorio minuzioso di produttori, venditori, negozi, negozietti, rivendite dove, fuori dall'impero delle grandi catene, si cerca di mettere a disposizione del pubblico ciò che di meglio l'Italia produce in campo agroalimentare, dai formaggi ai gelati, dal cioccolato alla carne.
Ci sono prodotti che si rifanno a tradizioni antichissime e altri nati dall'ingegno di uomini a noi contemporanei. Massobrio ha il pregio di non contrapporre mai tradizione e innovazione perché sa che i due termini vanno insieme, che non c'è mai uno senza l'altro, perché l'innovazione è l'elemento fondamentale della tradizione italiana. L'Italia ha sempre conservato il proprio passato attraverso l'innovazione, e questa è la vera «cosa buona» d'Italia cui fa riferimento il sottotitolo. Dante adottò il volgare per conservare lo splendore della poesia della nostra terra - Virgilio, Orazio, Ovidio, Catullo, Lucrezio - che l'uso iterato del latino stava irrigidendo. E così è sempre stato.
Funghi sott'olio, cioccolato in vasetto, pasta artigianale, salumi prelibati, pane fragrante non sono gli oggetti di una compulsione maniacale, ma le mille immagini che formano il ritratto del Paese: un Paese fortunatamente molto diverso da quello descritto, con superficiale pessimismo (il pessimismo è quasi sempre superficiale, come l'ottimismo), dalle cronache dei giornali. ...Il Golosario nasce da una scommessa culturale della cui portata lo stesso autore, forse non è del tutto consapevole. La scommessa è: dare fiducia all'esperienza come fonte di conoscenza. Non è solo una questione etica - la morale che si può trarre dall'esperienza degli artigiani - ma estetica e conoscitiva.
Esiste una conoscenza che nasce «dal basso», e che spesso contraddice le congetture degli analisti, mostrando una realtà più variegata, complessa e difficilmente catalogabile. Il Golosario nasce dallambizione di dar conto di questa realtà, e così facendo ci mostra un'Italia fatta di lavoro, ingegno, fatica e bellezza. È difficile, infatti, fare qualcosa di buono se non si ha negli occhi qualcosa di bello. Questa è la «cosa buona» da non perdere.